Al Convegno Internazionale ‘EatingontheMove’, con lo studio ‘Il cibo nel viaggio delle persone migranti dall’Africa in Italia nel 21° secolo’ #Mediterraneo / Università Roma Tre
A settembre 2021 sono stato relatore al Convegno Internazionale ‘Eating on the move’, organizzato dall’ICREFH-International Commission for Research into European Food History presso l’Università Roma Tre.
Ho presentato lo studio “Il cibo nel viaggio delle persone migranti dall’Africa in Italia nel 21° secolo” a cui ho lavorato per un anno assieme a Daniela Bruni, bibliotecaria e ricercatrice indipendente, su invito di Rita d’Errico, professoressa associata del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università Roma Tre.
Poiché sul tema dell’alimentazione delle persone migranti in viaggio dall’Africa in Italia mancano ancora studi specifici e fonti documentali, ecco che le testimonianze dirette degli stesse persone sono l’unica vera fonte che consente di fare luce sul modo di nutrirsi in viaggio. Dunque, per questa ricerca accademica, ho realizzato a Roma una serie di interviste a persone provenienti da Gambia, Ghana, Guinea-Bissau, Senegal, Zimbabwe. Non costituiscono un campione statisticamente rappresentativo, ma le loro testimonianze vere e spontanee raccontano senza filtri la lotta per la sopravvivenza e insieme la strenua difesa del patrimonio culturale di chi, pur costretto a migrare, cerca di mantenere integra la propria identità, anche attraverso il cibo.
Posto che sofferenze, discriminazioni e torture rimangono i temi più indigesti del viaggio, dallo studio emerge come persone in costante pericolo di vita spesso si aggrappino ai ricordi, perfino di odori e sapori, quasi come fossero un’àncora di salvezza, pur di sopravvivere.
Per questo, sia nel corso del viaggio che una volta approdati in Italia, cercano di ricreare i piatti a loro familiari, soprattutto attraverso l’uso delle spezie, ormai facilmente reperibili nei mercati di molte città italiane, segno evidente che le merci possono viaggiare con molta più facilità delle persone.
I racconti degli intervistati e delle intervistate confermano come il diritto al cibo non riguardi solo il diritto alla fonte di sostentamento, all’atto del nutrirsi, ma comprenda anche il diritto al rispetto dell’identità, della dignità e della storia di ogni individuo.
Una volta recuperati nelle acque territoriali italiane, il primo ricordo dei sopravvissuti è quello di una bevanda calda, in genere tè o caffè; arrivati al molo di approdo, al caffè e al tè spesso poi si aggiungono latte e biscotti, anche se questa non sempre è la prassi, perché il primo contatto molto spesso si riduce soltanto a una bottiglietta d’acqua.
A proposito del primo impatto con il cibo italiano alcuni hanno risposto: ’La pasta all’inizio non la capivo. Mi sembrava insipida, perché noi mangiamo speziato e piccante’;’ Abbiamo mangiato solo pasta alla mattina e alla sera. Solo pasta. Per quattro giorni’; ‘Da noi non si mangia così tanto amido e all’inizio con pasta e riso tutti i giorni, nonostante mi sentissi pieno a fine pasto, in realtà avevo solo la pancia gonfia, avevo di nuovo fame ma al tempo stesso mi sentivo nauseato’.
E ancora ‘Abbiamo viaggiato stipati in 500 in una barca, per giorni senza acqua e senza cibo. Appena siamo arrivati eravamo scioccati. Il cibo era pessimo. Non è facile cucinare pasta per centinaia di persone, lo so, ma era come se cucinassero per qualcuno che odiavano. Fossimo morti non gliene sarebbe importato nulla!’.
In definitiva, lo studio del cibo nei fenomeni migratori è un pre-testo interpretativo dei rapporti umani, delle negoziazioni tra i confini individuali e collettivi, delle dinamiche di spaesamento e riappaesamento dei singoli individui. È soprattutto l’ulteriore conferma del potere saziante dell’accoglienza, anche in contesti dove il cibo scarseggia.